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(Foto: Cdc on Unsplash)

Le ultime settimane hanno segnato l’ennesima svolta nelle campagne vaccinali, con l’arrivo del primo vaccino (Pfizer/BioNTech) approvato per gli adolescenti anche in Europa e l’allargamento delle vaccinazioni a tutti, pur con qualche differenza regionale. Una svolta che, rispetto alle fasi iniziali della campana – mirata a immunizzare e così proteggere, le popolazioni più anziani e fragili – di fatto ora punta a coinvolgere la popolazione più giovane. Non senza qualche perplessità. E per motivi diversi.

Di fronte a questa possibilità infatti nei giorni scorsi si era levata anche la voce dell’Oms che invitava a donare le dosi di vaccini più che a procedere con le vaccinazioni nelle popolazioni più giovani, alla luce dei ritardi del programma Covax per la distribuzione equa dei vaccini. Il retropensiero era quello per cui, in virtù del fatto che i giovani sono generalmente meno a rischio di sviluppare forme gravi di malattia, in una fase (ancora) di emergenza come quella attuale meglio forse mettere in sicurezza operatori sanitari e popolazioni più a rischio in giro per il mondo. In un’ottica altruistica sì, ma anche di tornaconto nazionale, ricordano alcuni esperti di etica in un articolo sulle vaccinazioni nei giovani, pubblicato su The Conversation, considerato anche il rischio che possano emergere nuove varianti più trasmissibili con più circolazione virale. Anche da altri fronti, in virtù delle stesse considerazioni, si era levato il pensiero per cui vaccinare i più giovani non fosse una priorità, ora, anche se il loro ruolo come diffusori del contagio rendeva la discussione ben più complessa.

Ma le perplessità, specialmente in Italia negli ultimi giorni, in materia di vaccini e giovani hanno riguardato anche un altro aspetto, più legato al tipo di vaccino utilizzato in queste fasce d’età. In particolare a finire al centro delle polemiche è stato il vaccino AstraZeneca e le iniziative di vaccinazioni aperte a tutti i maggiorenni, come gli open day e le open week (anche nei commenti ai post su Facebook che li pubblicizzano si avverte una certa critica nei confronti delle iniziative). Iniziative presumibilmente interessanti agli occhi di tutti anche per la possibilità di accedere quanto prima alla certificazione verde (il sistema che permette la libera circolazione in Italia, già a partire dopo 15 giorni dalla prima somministrazione del vaccino). Ma che rischiano di far slittare in secondo piano le discussioni su quanto sia opportuno o meno offrire questo vaccino ai più giovani.

A prendere posizione netta contro il vaccino AstraZeneca (ma anche contro il prodotto J&J, sempre a vettore virale) nei più giovani è stata l’Associazione Luca Coscioni, con una lettera sottoscritta anche da alcuni medici volontari, alcuni dei quali già firmatari di un simile appello. “L’iniziativa degli open day Az sembra mossa da buone intenzioni e sta riscuotendo grande successo, ma non è nel miglior interesse dei giovani. Nei soggetti under 30 che non abbiano comorbidità, la letalità per Covid-19 in Italia è vicina allo zero e rarissima è l’ospedalizzazione, mentre il rischio di Vitt [trombosi venosa trombocitopenica, nda] per loro supera il beneficio del vaccino, ed è sufficiente a sconsigliare la vaccinazione con Az, in accordo alle raccomandazioni Aifa”, si legge nel documento, condiviso con il presidente del consiglio Mario Draghi, il generale Figliuolo e i presidenti delle Regioni: “Si sfrutta il loro desiderio di riprendere una vita normale, visitare liberamente i nonni, muoversi per lavoro o per studio, andare in vacanza, etc., ma sorge il sospetto che in realtà si cerchi di smaltire le dosi di AstraZeneca rimaste inutilizzate.”

Al centro della questione c’è l’utilizzo dei vaccini a vettore virale e dei rari casi di trombosi a esso associati. Specialmente alla luce del fatto che seppur sempre rari, scrivono dall’associazione, questi problemi potrebbero esserlo meno di quanto ritenuto inizialmente, violando le raccomandazioni della stessa agenzia del farmaco (per cui sono consigliati negli over 60). Gli ultimi dati in materia di problemi di coagulazione associati al vaccino diffusi dalle autorità inglesi – aggiornati a una ventina di giorni fa – parlano di un rischio per la popolazione generale di 1 su 100mila nelle prime settimane dopo la vaccinazione (come riportato anche dalla stessa Aifa sul rapporto in materia), maggiore nelle popolazioni più giovani: 1 su 50mila per gli under 40. Al punto che per questa fascia di popolazione sono consigliati vaccini diversi dal Vaxzevria di AstraZeneca, senza escludere però di riconsiderare tutti i rischi e benefici derivanti dalla vaccinazione a seconda della situazione in cui ci si trovi, precisano le autorità inglesi.

Ed è questo un altro punto centrale delle discussioni contro l’uso di AstraZeneca nei più giovani: da più fronti, diversi esperti come l’immunologa Antonella Viola e alcuni medici vaccinatori chiedono di concentrarsi sui rischi e benefici derivanti dalla vaccinazione. Nei più giovani, e specialmente nelle donne, il rischio di possibili eventi avversi legati al vaccino rischia di essere maggiore o paragonabile alle complicazioni dovute a Covid-19, specialmente alla luce della attuale situazione italiana. Infatti, come raccontavamo, rischi e benefici non vanno considerati in assoluto, ma vanno riferiti anche alla circolazione del virus, che modifica il profilo di rischio derivante dall’infezione e dalle sue conseguenze.

E qui si apre una parentesi: quando si parla di rischi correlati all’infezione ci si riferisce in generale a quelli dell’infezione acuta, e soprattutto a quelli gravi che possono essere riassunti (e lo sono) come stime del rischio di finire in ospedale, in un reparto di terapia intensiva o di morte. La stessa campagna di vaccinazione è stata pensata per offrire prima una protezione a chi rischia di più tutto questo. Una discussione più ampia in materia, secondo alcuni, dovrebbe comprendere probabilmente anche i rischi sul lungo termine, come il long Covid, che possono riguardare anche giovani e bambini. La lista dei sintomi catalogati come long Covid è lunghissima, e non risparmia praticamente nessun distretto corporeo, né la salute mentale. Una interessante riflessione sul tema è quella offerta dal chimico e divulgatore Dario Bressanini sul suo account Instagram, in cui invitava  proprio a riflettere sugli effetti a lungo termine legati al long Covid-19 e risparmiati grazie al vaccino.

A tornare sul tema tra gli altri è stato anche il presidente delle Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che già un paio di mesi fa, allo scoppiare del caso AstraZeneca notava come per i giovani under 30 in condizioni di bassa circolazione virale il vaccino potesse essere controindicato, riferendosi ai rischi maggiori correlati all’infezione acuta.

Profilo rischio beneficio di #AstraZeneca in un contesto di bassa circolazione virale.
Fonte: #EMA 23 aprile 2021https://t.co/EMzL3XG9uy pic.twitter.com/ReVcCy5zwd

— Nino Cartabellotta (@Cartabellotta) June 7, 2021

Oggi in Italia la situazione è quella paragonabile a quella di una bassa circolazione virale (poco più di 60 casi per 100 mila persone su due settimane, da elaborazioni Gimbe). Lo stesso coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli ha accennato al quadro epidemiologico mutato commentando il caso della ragazza di Genova di 18 anni colpita da trombosi dopo il vaccino, non escludendo nuove possibili indicazioni per AstraZeneca.

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Fanno discutere le iniziative legate agli open day rivolte ai più giovani con i vaccini a vettore virale. I rischi legati ai vaccini non controbilanciano i benefici, sostengono alcuni, mentre altri spingono a considerare anche i lati positivi a più lungo termine
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