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(immagine: Getty Images)

Stephen Hawking ci ha visto giusto, ancora una volta: la superficie d’azione di un buco nero, dentro la quale tutto (sia la materia sia la radiazione) viene risucchiato e non può uscire, non può diminuire nel tempo. Oggi uno studio condotto da fisici del Mit conferma la teoria di Hawking grazie allo studio delle onde gravitazionali prodotte 1,3 miliardi di anni fa da due giganteschi buchi neri che spiraleggiano (si muovono seguendo la forma a spirale) uno intorno all’altro. I risultati sono pubblicati su Physical Review D. Ora il gruppo, come molti altri, sta cercando di capire come trovare una spiegazione a un paradosso e conciliare un’altra teoria, che invece prevede che nel lungo termine un buco nero debba ridursi fino a evaporare.

Buco nero, se l’area non può diminuire

Incredibili e affascinanti, a volte paradossali, i buchi neri non smettono di stupirci. Nei primi anni ’70 Stephen Hawking  illustrò una proprietà centrale di questi misteriosi oggetti, che riguarda l’area dell’orizzonte degli eventi, una superficie immaginaria – una sorta di bolla del buco nero – dalla quale non può uscire nulla, nemmeno la luce. Il celebre fisico scomparso nel marzo 2018 sviluppò alcune leggi sui buchi neri, di cui una afferma che quest’area non può mai restringersi. L’idea che questa superficie non possa diminuire somiglia alla seconda legge della termodinamica, al fatto che l’entropia di un sistema isolato non può diminuire.

Stephen Hawking aveva ragione

Oggi il gruppo coordinato dall’astrofisico Maximiliano Isi del Mit ha studiato questa proprietà attraverso informazioni colte dall’analisi delle onde gravitazionali generate dalla collisione di due buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa, recentemente rilevate. I ricercatori hanno analizzato le prime onde gravitazionali, che ci hanno tenuto a lungo col fiato sospeso, scoperte nel 2015 dal rivelatore Ligo e poi studiate anche da Virgo. I ricercatori hanno preso in mano i dati dei segnali delle onde gravitazionali e hanno calcolato la massa e lo spin dei due buchi neri prima e dopo la fusione dei buchi neri e rielaborando i dati hanno calcolato la superficie d’azione (l’area dell’orizzonte degli eventi) prima e dopo la collisione. La superficie del nuovo buco nero, creato da questo scontro fra i due, era maggiore: in pratica l’area risultante è più estesa di quella iniziale. Questo aumento conferma – a livello teorico, ovviamente, e non sperimentale – la legge di Hawking con un livello di confidenza che gli scienziati indicano pari al 95%. Insomma, abbiamo una prova di questa caratteristica dei buchi neri.

Le contraddizioni dei buchi neri

I problemi nascono, come sempre, quando si cerca di combinare in qualche modo la relatività – che ci fornisce la legge precedente – con la meccanica quantistica. Infatti, secondo un’altra proprietà sempre formulata da Hawking e legata ad effetti quantistici, nel lungo termine i buchi neri (e l’area dell’orizzonte degli eventi) possono invece ridursi. In particolare questo sarebbe dovuto alla famosa radiazione di Hawking: i buchi neri emetterebbero una radiazione termica e alla lunga perderebbero terreno. La teoria prevede che per un tempo molto maggiore della durata dell’universo questi oggetti dovrebbero addirittura evaporare. Nel breve termine non ci sarebbe alcuna contraddizione – le due leggi coesisterebbero senza disturbarsi – ma bel lungo periodo, al contrario, la legge secondo cui l’area non deve diminuire verrebbe messa in crisi. Ma allora come conciliare le due teorie? Da tempo gli scienziati stanno provando a cercare una chiave per combinarle: capire come risolvere questa contraddizione potrebbe aprire le porte anche a nuove leggi e teorie, alla cosiddetta nuova fisica, che ancora non sappiamo cos’è.

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La prova da una nuova analisi delle onde gravitazionali prodotte dai buchi neri 1,3 miliardi di anni fa e scoperte nel 2015. La superficie di azione dei buchi neri non diminuisce. Ma c’è un’altra contraddizione da approfondire
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