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Non c’è esordio più chiacchierato quest’anno. E adesso che sta arrivando nei vari paesi sulle piattaforme di streaming (per l’Italia l’ha comprato MUBI), dopo aver fatto il giro dei festival internazionali, se ne discute ancora di più. Shiva Baby è un film di poco meno di un’ora e venti, molto breve, tutto centrato su uno shiva, cioè una veglia funebre ebraica, l’occasione in cui si riuniscono parenti e amici del defunto e una ragazza incontra il suo amante segreto. Lui è più grande, ha una moglie e un bambino piccolo, ed è amico di suo padre; lei frequenta l’università. In gergo lui è uno sugar daddy, cioè un adulto che ha una relazione con una ragazza più giovane e la mantiene, lei è di converso la sua sugar baby. Ovviamente i parenti non devono saperlo, ma lungo il film scopriamo che allo shiva c’è anche una sua ex (una donna), altro dettaglio che sarebbe meglio nessuno scoprisse.

Spunto essenziale che si espande a macchia d’olio e che parte da un’esperienza vera. Emma Seligman, sceneggiatrice e regista, ha raccontato di essere stata lei stessa una sugar baby per un po’ di tempo, di aver sperimentato quel tipo di relazione e quel tipo di potere che deriva dall’uso di un corpo giovane. Così il film mette in contrasto l’immagine di una ragazza che sente quel potere con il mondo della famiglia, l’essere una figlia e una nipote, che è l’opposto e il massimo della costrizione.

Il progetto parte da un cortometraggio del 2017 con lo stesso titolo. Il che è un modo molto sfruttato per verificare se qualcosa funziona, specialmente se non si è mai girato un film. Serve a testare la relazione con gli attori, la possibilità di lavorare sulle sceneggiature e poi la capacità che si ha (o non si ha) di giocare con le immagini. È una prova generale e in tempi recenti è stato un passaggio obbligato anche per Damien Chazelle con Whiplash, che è nato così, come un corto costituito solo dalla scena più nota della sfuriata alla batteria. Non a caso la protagonista, Rachel Sennott, era anche nel cortometraggio.

Il punto è che non è facile esordire con un film simile, che si sviluppa tutto in un ambiente. Solo con l’esperienza si impara come gestire le inquadrature e la presenza delle comparse di sfondo, e come non incartarsi con l’uso degli spazi (chi entra da quale porta, chi sta dove in quel momento…). Per questo Emma Seligman ha costruito una versione Lego della casa in cui avrebbe girato, ovvero una variante artigianale a costo bassissimo di quel che fanno i professionisti dei grandi studi in computer grafica, una pre-visualizzazione per studiare tutto prima e non perdere tempo sul set.

Perché lavorare in fretta vuol dire abbassare i costi. Il tempo delle comparse, le paghe e i giorni di lavorazione sono la voce più importante di un film, specie se a budget bassissimo. Seligman non aveva niente in mano se non il corto, non aveva fatto altro, usciva dalla scuola di cinema di New York, trovare finanziamenti era quasi impossibile. Per mettere insieme il budget si è dovuta rivolgere a persone che di lavoro non supportano film : “Probabilmente la cosa più stressante e difficile che mai ripeterò nella mia vita, molto peggio che girare”.

Shiva Baby si fonda sull’incalzare e sul senso d’ansia. C’è una ex di cui nessuno è a conoscenza, ci sono le zie bacchettone e pettegole, c’è il terrore che qualcuno scopra tutto (e la moglie dello sugar daddy sembra stranamente aver intuito qualcosa): “Penso che alla fine sia un film sull’essere una donna che realizza come il suo potere sessuale sia limitato, sul sentire che questo ti scappa via mentre cerchi di rimanerci aggrappata”. Per questo, come scritto all’inizio, è stato così importante che la stessa Seligman sia stata una sugar baby per un periodo, cioè una ragazza mantenuta da un amante adulto, in un momento della vita – spiega lei – in cui tutti intorno erano incastrati in relazioni senza impegno e senza futuro, le amiche prese da storie con persone che cercavano di costringere a un rapporto più serio. E come sempre per i migliori film, si è fatta una domanda: che cosa succederebbe a un’insicura, a cui essere una sugar baby dà un certo potere, se quelle certezze le fossero sottratte davanti ai parenti?

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È il primo lavoro di Emma Seligman, nato da un corto (come Whiplash di Damien Chazelle). Ambientato in una casa piena di parenti serpenti, la protagonista è una ragazza che ha due relazioni da nascondere: con uno sugar daddy e con una donna
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