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Sono poche le serie (o i film, i cartoni, i documentari) che resistono nella Top5 dei più visti di Netflix tanto quanto Sex/Life, dramma erotico prodotto da Stacy Rukeyser e incentrato su una donna di mezza età con la famigliola perfetta ma tormentata dal ricordo delle passate trasgressioni con un ex fidanzato bello, tenebroso e focoso. Billie si interroga su quale direzione dare alla propria vita dopo che la nascita del secondo pargolo e una quotidianità stagnante col marito la spingono a scrivere un diario in cui rievoca le acrobazie sessuali che hanno contraddistinto la sua relazione con Brad, l’artistoide ricco, sexy e scostante che è stato il centro del suo universo nel decennio precedente.
L’eroina di Sex/Life si arrovella per otto lunghi episodi nei quali ricalca incessantemente lo stesso sentiero lastricato dalla delusione per la propria vita matrimoniale e diretto verso la riunione con Brad, il quale nel frattempo si è rifatto vivo e ne reclama la presenza nella sua vita. Billie è un’ex trentenne festaiola, una sorta di Samantha di Sex and the City riformata che ha abbandonato una vita di serate in discoteca, eccessi, sesso occasionale e il brivido del rischio per la sicurezza di una vita agiata con un marito ricco e due bimbi perfetti. Così facendo, tuttavia, ha tradito se stessa, conformandosi a una società bigotta che così com’era non l’avrebbe mai accettata (ce lo spiega la sua amica Sasha nell’ultima puntata con il monologo sulla commutazione di codice, nel caso non fossimo in grado di arrivarci da soli) solo per poi finire soffocata dai pomeriggi con le amiche “pancine”, le attività extrascolastiche dei figli e il sesso col partner che preferisce guardare la partita.
Billie sente di dovere molto a quell’uomo per bene, bello, onesto, fedele, sincero – e mortalmente noioso – che l’ha “salvata” dalla promiscuità e da un futuro incerto con Brad (lo stereotipo del bad boy in moto e giacca di pelle dal passato burrascoso), ma la nostalgia del sesso col botto e delle montagne russe emotive garantiti da Brad la tentano strenuamente. Il suo è l’eterno dilemma di ogni donna (e uomo) dall’animo irrequieto in bilico tra trasgressione e integrazione, un dilemma che per Billie è lancinante. La sua afflizione è trasmessa efficacemente dall’interpretazione della protagonista Sarah Shahi, l’unica cosa buona di Sex/Life, brava nel trasmettere la confusione, il senso di incertezza e la passionalità della sua protagonista senza ridurla a un’insopportabile e insoddisfatta donnetta. Tuttavia, la solerzia della Shahi non salvano questo pretenzioso obbrobrio con velleità di audace critica dell’alta borghesia americana ipocrita e perbenista.
Sex/Life ci prova illustrando i segreti delle amiche di Billie: l’indipendente, emancipata donna single in carriera Sasha da un lato e dall’altro la bigotta e frigida Caroline e Trina, la mogliettina impeccabile con un debole per lo scambismo ma critica nei confronti delle esigenze sessuali di Billie. Tutto, alla fine, gira attorno al sesso e alle sue declinazioni e come questo ancora oggi non sia vissuti serenamente e senza tabù dalle frange più conformiste. Sex/Life ha, per certi versi, lo stesso appeal di Cinquanta sfumature di grigio: tanta fibrillazione intorno alla serie è alimentata dai flashback che mostrano la destrezza erotica di Brad e Billie. Fotografati tutti, inesorabilmente, con i toni del rosso e del porpora (la manifestazione cromatica della passione totalizzante secondo il direttore fotografia genio di questa produzione), dovrebbero irretire spettatori e spettatrici con la banale e ginnica sensualità che garantisce il bollino Vm18 allo show.
In realtà Billie e Brad, che si vantano di aver sperimentato almeno tre quarti delle posizioni del Kamasutra, propinano al pubblico e a se stessi per tutta la serie un repertorio prevedibile che pur ha scatenato l’eccitazione del pubblico mantenendo la serie alta in classifica. Sex/Life è come le sue scene di sesso: una cosa camuffata per un’altra, un pruriginoso, innocuo racconto erotico e tutto sommato divertente per gli spettatori e gli spettatrici all’asciutto di trasgressioni camuffato da parabola sociale e femminista. Sex/Life è fintamente provocante (come finto è il gigantesco membro che Brad sbandiera e che ha scatenato l’attenzione degli internauti all’oscuro dell’esistenza delle protesi teatrali), così come fintamente femminista è la scelta finale di Billie che la Rukyeser cerca di far passare per celebrazione della liberazione femminile: è qui che la serie si trasforma da inoffensivo romanzetto erotico in una serie brutta e ipocrita. Il finale non ve lo raccontiamo, ma la professione di libertà di Billie (“I want it all and I want it now”) è francamente patetica.
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La miniserie in vetta alla TopTen delle più viste di Netflix è probabilmente lo show più brutto dell’anno. Partito come un innocuo romanzetto erotico, chiude da obbrobrio con pretese femministe. Si salva solo la brava Sarah Shahi
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