Bitcoin (foto Omar Marques/Sopa Images/LightRocket via Getty Images)
Negli Stati Uniti l’ultimo arresto è di fine maggio. A finire in prigione è un 37enne californiano, accusato dal Dipartimento di giustizia di operazioni sospette tramite una rete di sportelli automatici per cambiare contanti in bitcoin. Più di 25 milioni di dollari da attività illecite sarebbero stati ripuliti attraverso le casse automatiche (atm, automated teller machine) utilizzate per convertire il denaro in criptovalute.
D’altronde, far sparire i soldi attraverso i bancomat per bitcoin è un gioco da ragazzi e basta un conto anonimo dove depositare le criptovalute. Per realizzarlo, come Wired ha potuto sperimentare, non sono richieste particolari conoscenze tecniche né, se si scelgono alcuni fornitori, vengono effettuati controlli sull’identità. Una condizione perfetta per chi deve far sparire un po’ di quattrini.
Non a caso anche in Italia, dove sta crescendo il numero di questi apparecchi, le autorità hanno acceso un faro. Nella sua ultima relazione, l’Unità di informazione finanziaria (Uif), l’ente che si occupa di antiriciclaggio per conto della Banca d’Italia, riferisce che nel 2020 “ulteriori analisi si sono incentrate sul fenomeno dell’acquisto/vendita di criptovalute mediante dispositivi atm, installati presso i locali commerciali di società italiane che operano per conto di un Vasp (fornitore di servizi di asset virtuali, ndr) estero”. Le stesse situazioni che ha potuto verificare Wired, grazie alle segnalazioni ricevute attraverso WiredLeaks, la nostra piattaforma per proteggere l’anonimato delle fonti. E che, precisiamo, non riguardano il settore in generale o le criptovalute, ma solo chi ne fa un uso distorto.
Dai controlli dell’Uif è emerso che “sui conti societari si rilevano consistenti versamenti di contante, non coerenti con il profilo economico dell’attività svolta (piccoli negozi al dettaglio), a cui seguono trasferimenti verso l’estero in favore del Vasp”. Insomma, da alcuni di quegli sportelli sono passate somme tali da far impallidire i bilanci dei negozi che li ospitano. Tuttavia, in assenza di regole ad hoc, fare i controlli è arduo e ancora di più lo è far rispettare gli obblighi antiriciclaggio.
Germania-Italia 1 a 0
Un esempio è il caso di Shitcoins, azienda polacca molto attiva in Italia ma bandita dalla Germania, dove non è autorizzata a operare dal 2020, quando l’Autorità federale di controllo finanziario della Germania (Bafin) ne ha sequestrato i 17 sportelli. Da febbraio inseguiva il fondatore, Adam Gramowski, per intimargli di cessare le sue attività. Né lui né la filiale tedesca del suo gruppo, Kkt Ug, avevano le autorizzazioni per maneggiare prodotti finanziari (categoria a cui Berlino equipara le criptovalute).
Nello stesso periodo in Italia Gramowski estendeva la sua rete di atm. Come Wired ha potuto verificare, gli apparecchi di Shitcoins non richiedono un’identificazione al cliente che vuole convertire denaro. Se i soldi vengono trasferiti su un wallet che, a sua volta, assicura la massima riservatezza aggirando i controlli, la frittata è fatta. Noi abbiamo usato Electrum, che non richiede di identificarsi in fase di iscrizione.
Occorre precisare che gli strumenti per criptovalute più diffusi online, come Kraken, operano controlli molto precisi e richiedono, oltre a un documento d’identità, anche una bolletta o altri documenti per accertarne la residenza. Ma questa caratteristica è aggirabile rivolgendosi a strumenti un po’ meno intuitivi per l’utente medio ma altrettanto efficaci.
A tutto c’è un limite
Il sito web di Shitcoins pubblicizza anche la liquidità nelle casse di ciascun apparecchio. All’utente è così permesso di prelevare fino a 22.620 euro in uno degli apparecchi in centro a Roma, 15.400 a Catania e ancora 21.240 a Bologna (gli importi si riferiscono al pomeriggio del 28 giugno). Il tetto massimo è la disponibilità di contante dentro la cassetta. Se ne servisse di più, l’azienda spiega sullo schermo dell’atm che “verrà portato da un nostro operatore o potrai prelevarlo il giorno successivo”.
In seguito alla pubblicazione del primo capitolo della nostra inchiesta, una fonte ha fornito a Wired, sotto garanzia di anonimato, alcuni dati relativi a un atm operato dall’azienda Shitcoins, installato in una città del nord Italia. Dalle informazioni condivise emerge che la macchina viene ricaricata di contante ogni lunedì e quasi sempre lo esaurisce entro cinque giorni. “Ultimamente lo caricano con circa 17mila euro il lunedì, e si svuota in circa 5 giorni. Un mese fa lo caricavano di 35mila euro sempre il lunedì”, spiega la fonte: “Praticamente nessuno compra (criptovalute, ndr), tutti prelevano”.
Così anche lunedì 28 giugno, quando l’atm è stato ricaricato di 17.440 euro alle 7.34 del mattino, per arrivare a 5.060 euro alle 16.24 dello stesso giorno. Nessuno ha comprato criptovalute e tutti gli utenti lo hanno utilizzato solamente per prelevare denaro, un’operazione che non è di per sè vietata ma per la quale, su somme ingenti, le banche sono obbligate a segnalare l’operazione all’Uif. Questo ovviamente non può avvenire con gli apparecchi per i quali non è prevista l’identificazione dell’utente.
Anche il limite per l’acquisto di criptovalute – che come per tutti gli acquisti, è fissato dalla legge a 2mila euro al giorno fino al 2022, quando sarà dimezzato – è facilmente aggirabile su suggerimento della stessa Shitcoins. Se il cliente ha bisogno di acquistare titoli virtuali per un valore superiore a 1.999 euro, può inserire l’intera somma ed “effettuare diverse transazioni”, si legge su un cartello apposto sull’apparecchio, che conclude con un rassicurante: “Ti invitiamo a usufruirne!”.
Questo è proprio uno degli indicatori di attività sospetta, secondo la società di consulenza nel mercato cripto Elliptic. In uno studio l’azienda elenca i campanelli di allarme di movimenti illeciti: depositi frequenti e voluminosi con banconote di medio taglio (50, 100, 200 euro); operatori con sedi in Paesi dove l’uso illegale delle criptovalute è acclarato; dispositivi collocati in negozi infiltrati dalla malavita o a rischio collusione o, ancora, che macinano operazioni di gran lunga superiori al fatturato dell’attività stessa che li ospita. E ancora: persone che si connettono a diversi wallet di frequente nella stessa giornata e a distanza di poco tempo. O, al contrario, più persone che nello stesso momento fanno convergere i loro soldi allo stesso indirizzo. Sollevano attenzione anche gli scambi internazionali che si concludono in pochi minuti tra il cash-in e il cash-out. Contattata da Wired, Shitcoins non ha risposto a una richiesta di commento.
L’anello di congiunzione
Secondo Chainalysis, società di consulenza del settore, nel 2020 circa 10 miliardi di dollari in criptovalute sono stati usati per attività illegali. La somma equivale allo 0,34% delle transazioni totali (in un anno di crescita). Una fetta molto piccola, dunque, tuttavia significativa perché offre copertura per il pagamento di riscatti per ransomware, truffe e acquisti sul mercato nero. Secondo gli analisti dell’azienda gli atm che non identificano i propri clienti stanno foraggiando in particolare quest’ultimo. L’anno scorso attraverso gli sportelli automatici circa 16,5 miliardi di dollari sarebbero stati convertiti da monete con corso legale a criptovalute e parcheggiati sui wallet digitali, in attesa di essere spesi sul mercato nero.
“Con gli atm per bitcoin è semplicissimo eludere i controlli”, afferma Francesca Maldi, dottoranda in criminologia all’Università cattolica di Milano e ricercatrice di Transcrime, centro sulla criminalità internazionale del medesimo ateneo: “Si fanno tante transazioni di piccolo ammontare per non attirare l’attenzione”. Sia da contante a criptovalute sia viceversa, per far sparire i proventi di un crimine informatico.
“Il riciclaggio è il secondo passaggio nell’uso illecito delle criptovalute”, spiega Gianluca Berruti, colonnello della Guardia di finanza al timone del gruppo investigativo del nucleo speciale per la tutela della privacy e delle frodi tecnologiche. “Negli ultimi anni abbiamo osservato diversi casi relativi a organizzazioni criminali – prosegue -. La tecnica consiste nell’infiltrarsi in un business legittimo per creare un ecosistema sofisticato di riciclaggio basato sulle criptovalute”. Sfruttare, insomma, le zone d’ombra del settore. Comprese quelle degli atm, satelliti minuscoli nella sconfinata galassia cripto.
Armi spuntate
Le prime risultanze delle indagini delle Fiamme gialle evidenziano tre aspetti di rischio per i bancomat di bitcoin. Il primo è il ruolo preminente di società estere, che eludono fisco e norme antiriciclaggio. Se nel mondo sono gli Stati Uniti a farla da padrone in questo campo, in Europa “sono i Paesi dell’est quelli più adatti per impiantare l’attività”, commenta Maldi. “L’Europa dell’est ha una delle percentuali più alte di transazioni in criptovalute associate all’attività criminale”, è la conclusione degli analisti di Chainalysis.
Il nodo del problema rimane nazionale, dal momento che il regime europeo già prevede obblighi anche per le piattaforme di cambio di criptovalute, ricordano da Transcrime. L’idea è che, in questo modo, si possa accertare se le criptovalute in fase di cash-in (quando le si compra convertendo euro) o di cash-out (quando dalla moneta virtuale si torna a quella legale) arrivano da giri loschi. In Italia ci sarebbe un provvedimento del 2019 che impone agli operatori di questi atm di identificarsi e iscriversi a un registro, ma senza il decreto attuativo, è lettera morta. Dall’altra, l’Unità di informazione finanziaria può solamente controllare gli operatori nazionali, demandando qualsiasi doglianza verso aziende che battono bandiera estera alle competenti organizzazioni di controllo finanziario del paese di provenienza.
“In questa situazione, oltre a danneggiare le aziende che operano secondo le regole, si danneggia soprattutto il mercato dei bitcoin”, lamenta a Wired Federico Pecoraro, imprenditore italiano e fondatore di Chainblock, prima azienda a portare in Italia gli atm per criptovalute nel 2013. “Noi effettuiamo ogni tipo di controllo e applichiamo le procedure di kyc e di kyt (know your customer e know you transaction, ndr), che sono indispensabili per operare correttamente e segnalare eventuali operazioni sospette – spiega -. Oggi l’Italia però sembra essere una terra di nessuno, dove non ci sono controlli effettivi per assicurarsi che tutti gli operatori rispettino le stesse regole, indispensabili soprattutto per la quantità di truffe e di illeciti che si consumano sia con sia senza i bitcoin”.
Uno dei nodi risulta essere soprattutto quello del cash-out, ovvero della possibilità di prelevare: “Finora abbiamo scelto di non attivare questa attività per i nostri clienti”, aggiunge Pecoraro. “Sappiamo che la concorrenza si pone molti meno problemi, ma le norme in materia sono poco chiare e i requisiti per essere in regola almeno sulla carta sono stringenti – chiosa –. Per questo preferiamo aspettare di poterlo fare con la certezza che tutto sia in ordine, nell’interesse nostro e dei nostri clienti”.
Ed è proprio il cash-out, in assenza di controlli, uno dei maggiori fattori di rischio per le storture nell’abuso delle criptovalute: “Oggi serve fare cash in e cash out per lavare il denaro, ma man mano che l’ecosistema delle criptovalute cresce, il riciclaggio potrebbe avvenire dentro un sistema chiuso”, si legge in un rapporto della società di consulenza Oliver Wyman. Passando quindi di valuta digitale in valuta digitale. O ancora: stanno aumentando beni e i servizi che si possono comprare in criptovalute, senza doverle convertire. “Acquisto beni di lusso, li rivendo con il cashout e riciclo il denaro”, dice Maldi. Secondo: “Mixer di criptovalute centralizzati, come Privcoin e Cryptomixer, e piattaforme tumbler peer to peer sono servizi che possono essere usati per mescolare monete pulite e illecite per mascherare la fonte originaria e complicare la tracciabilità”, dicono da Oliver Wyman. Si tratta, in sostanza, di piattaforme che spezzano la catena di collegamento tra i vari indirizzi su cui il denaro transita, ripulendolo.
Nuove strategie di gioco
Per Berruti è necessario non solo cambiare le regole, ma anche le strategie di gioco. “Stiamo aggiornando i metodi di investigazione”, spiega. Per esempio con il ricorso a bot che monitorano gli accessi pubblici alla blokchain o i movimenti associati ai diversi indirizzi. La raccolta dei dati è quanto mai cruciale per individuare movimenti sospetti per tempo. Ancora: si lavora a software di decrittazione “per ricostruire in modo compiuto le transazioni e superare il problema dei mixer”, precisa il colonnello.
E poi risalire agli effettivi beneficiari colpendo nel punto debole della catena: il cambio da cripto a fiat e viceversa. Inseguire uno scambio di denaro sugli exchange, per esempio, può rivelarsi un percorso accidentato, non solo perché i criminali tendono a passare di valuta in valuta per far perdere le proprie tracce, ma anche perché per ogni piattaforma occorre avere in mano un provvedimento ad hoc. Che diventa una rogatoria internazionale, non appena i soldi lasciano i confini. Uno dei trucchi dei criminali, come riconosce la Task force di azione finanziaria (Faft), il più importante organo internazionale in materia di antiriciclaggio, è atterrare in paesi con regole scarne o assenti o che non aderiscono ai trattati internazionali. Complicando così ancora di più le indagini delle autorità.
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L’assenza di norme mette in difficoltà gli operatori onesti. Aprendo il fianco ad abusi. Ma le spie di un’operazione sospetta, per esempio a un bancomat per criptovalute, sono note
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