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È sempre più difficile fare un film come Run, perché è sempre più difficile raccontare di qualcuno tagliato fuori dalle comunicazioni con il mondo esterno e dalle informazioni su di esso. Ci prova (e ci riesce, almeno per 18 anni) la mamma di questo film in cui una ragazza piena di problemi fisici, sulla sedia a rotelle, massacrata a livello epidermico e gastroenterologico, spera di essere presa al college dopo una vita in cui la scuola le è stata proibita. Era la madre ad educarla a casa, ad accudirla nei suoi mille problemi e nelle sue mille necessità in un rapporto così buono ma così buono, che alla prima stranezza subito la figlia sospetta che la madre le abbia sempre mentito. È un po’ la cifra di questo film che non ha bisogno di troppa sofisticazione per mettere in moto la sua trama: serve che una figlia sospetti della madre e quindi lo fa punto e basta, anche se il rapporto tra le due fino a quel momento è stato ottimo.

Ma come si scriveva in apertura è sempre difficile fare questo tipo di film in cui qualcuno è costretto in casa da qualcun altro, Misery non deve morire con di mezzo l’affetto materno. La mamma stavolta, oltre a staccare i telefoni e proibire l’uso di smartphone, dovrà limitare l’accesso ad internet e monitorare la connessione. Una serie di espedienti che alimentano qualche dubbio sulla trama, sulla grande preparazione e furbizia di una figlia che pur avendo accesso limitato ai media non ha mai capito che il mondo fuori funziona in altre maniere. Ad ogni buon conto l’importante per Run è che una ragazza dubita della madre e questi dubbi crescono al crescere dei piccoli espedienti con i quali racimola informazioni sui medicinali che lei le fa prendere.

Aneesh Chaganty, regista e co-sceneggiatore del film, questo adora: le informazioni. Il sistema attraverso il quale arriviamo a capire qualcosa lentamente, per esclusione. Ne aveva fatto la pietra angolare del suo primo film, l’interessante Searching (un thriller tutto in screencasting, in cui un padre, amorevole, cerca una figlia scomparsa tramite le sue tracce lasciate online). Adesso per Run lavora invece sul mondo analogico, telefonate ai call center, consigli chiesti in farmacia e tutti espedienti vecchio stampo in un film che forse sarebbe riuscito anche meglio fosse stato ambientato negli anni ‘80. L’importante per Chaganty è il meccanismo di suspense e lo cura a dovere.

Niente può levare dalla testa l’idea che Run sia inevitabilmente un piccolo film con limitate ambizioni, ma è anche vero che quelle limitate ambizioni di madre contro figlia, scontro violento e metafora molto pedissequa della maturazione e conquista dell’indipendenza, le porta a casa senza errori. È quasi superfluo fare le pulci alle svolte e alla scrittura di un film che fa la scelta di avere la villain di mezza età più usata del momento, Sarah Paulson, nel ruolo della madre con i capelli da pazza e il sorriso molto più preoccupante del broncio. Sembra superfluo far notare che la suddetta madre ha poi lasciato indizi e ritagli di giornale del suo passato in ordine, senza nessuna vera ragione se non farli trovare alla protagonista così che il pubblico possa capire in fretta la backstory. Run è un film che non va per il sottile e che non si giudica da questi particolari ma dalla capacità di suscitare (nonostante tutto) tensione.

Run insomma il suo lavoro maldestro e un po’ grossolano lo fa bene. Kiera Allen, la ragazza che lotta contro un corpo debole e una madre potente, è un’interprete perfetta, dà anima e corpo alla tensione e alla fatica, allo sforzo di compiere imprese al di là delle proprie possibilità (inclusa un’incursione sul tetto da premio all’inventiva e allo sprezzo del pericolo). Tanto serve per un film simile. In un mondo di grandi produzioni che faticano ad avere un’identità, questa è una piccola produzione con gli obiettivi così chiari che anche tutti i suoi buchi e le sue sciocchezze di sceneggiatura sono facili da trascurare di fronte alla sua funzionalità: deve mettere tensione e mette tensione.

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Arriva in sala il thriller del regista di Searching, un classico dei rapporti violenti tra madre e figlia (disabile): forse prende un po’ sottogamba il tema delle nuove tecnologie ma riesce comunque a tenere alta l’attenzione
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