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Raffella Carrà, Canzonissima, 1971 (Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images)

Una celebre frase di Antonio Gramsci dice : “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”. Nei momenti di grande cambiamento, è vero, possono nascere mostri. Oppure possono accadere meraviglie. In un’Italia in bilico tra modernità e passato, tra Democrazia Cristiana e PCI, schiacciata dai giovani in rivolta e dal bigottismo più spinto, una giovane donna romagnola arrivò a incarnare il cambiamento e a farlo diventare, sempre per citare Gramsci, “nazionalpopolare”. Quella donna era Raffaella Carrà. Dopo una breve ma fortunata carriera di attrice, è approdata negli schermi in bianco e nero della Rai portando non una ventata di aria fresca, ma un vero e proprio tornado.

Sentirete e vedrete quel caschetto e quell’ombelico molte volte in queste ore che seguono la sua scomparsa, ma senza esagerare dovete immaginare quell’ombelico e quella sfacciata allegria nelle case delle vostre nonne e delle nostre bisnonne. Mentre nelle strade e nelle fabbriche ribolliva la contestazione e mentre nel nostro paese le donne faticavano a far valere i propri diritti, lei incarnava una femminilità giocosa, divertente, sensuale. Il suo corpo non era concesso al piacere maschile: il suo corpo era suo, e la scoperta di una sessualità davvero libera è stata da esempio a milioni di donne, le stesse che magari non partecipavano ai cortei o ai picchetti, ma guardavano la televisione, leggevano i rotocalchi e ascoltavano la radio.

Raffaella Carrà, Canzonissima, 1974 (Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images)

A guardare le immagini della lunga carriera di Raffaella Carrà, colpisce la sua straordinaria modernità: i costumi, le movenze, la scelta delle canzoni ci parlano di una donna libera e autodeterminata. Per questo, forse, in Italia il suo nome e le sue canzoni sono e saranno sempre associate alle lotte della comunità Lgbt+. Oggi che le istanze femministe sono intrecciate a quelle di gay, lesbiche, trans e bisessuali, non possiamo non guardare anche noi a Raffaella Carrà e riconoscere nella sua vita e nella sua arte un esempio e un’icona. Quante di noi nei momenti più bui di una relazione si sono ripetute: “E se ti lascia lo sai che si fa? / Trovi un altro più bello / che problemi non ha!, solo per citare la sua canzone più famosa. E poi c’è Rumore, un brano che potrebbe aprire i cortei femministi: “E ritornare al tempo che c’eri tu / Per abbracciarti e non pensarci più su / Ma ritornare ritornare perché / Quando ho deciso che facevo da me”.

Paragonatela solo per un secondo ai brani recenti di cantanti, anche giovanissime, pronte a struggersi e a urlare quanto le manchi il lui di turno. Oppure a Minuetto, a Quello che le donne non dicono, o alle protagoniste di pezzi sempre molto contriti e disperati della storia della nostra musica leggera italiana. Nei suoi brani Raffaella Carrà cantava una sessualità libera, autodeterminata, in cui una donna lasciata da un uomo può rifarsi una vita ed essere felice. E amare chi vuole, incondizionatamente, perché “l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu!”. Ancora oggi, anche sui social, spesso le donne sono associate al concetto di vittima: la donna subisce, viene violentata, calpestata, ammazzata, sfruttata. E anche quando è protagonista, deve sempre ricordarci che viene da un passato di dolore e fatica. Non che non sia così, ce lo raccontano le statistiche e le nostre storie personali, ma è la libertà da ogni tipo di costrizione quella a cui aspiriamo e le nostre lotte sono nient’altro che la ricerca della felicità che un mondo bigotto, sessista e omofobo ci impedisce di raggiungere.

Raffaella Carrà, Forte Forte Forte, 2015 (Foto: Elisabetta A. Villa/Getty Images)

Mostrando l’ombelico, muovendo il caschetto, ballando “pazza su una terrazza” Raffaella Carrà ci invitava a mandare a quel paese ogni tipo di costrizione e di sovrastruttura. Ha vissuto da donna libera e quella libertà l’ha fatta entrare nelle case di milioni di italiane e italiane. Una libertà che è costata anche fatica e ha subito ostracismo, ottenuta con sforzi e sacrifici, una libertà conquistata ma ottenuta. Non è vero che chi vuole può e che con la tigna si ottiene tutto, e per una Raffaella Carrà che ce l’ha fatta ci sono tante che non hanno retto la fatica o sono state meno fortunate di lei. Però, una volta ottenuta la notorietà, Raffaella Carrà l’ha usata per rivendicare per sé stessa e per noi un Paese più libero, più ugualitario e con più opportunità per tuttə.
Non ha voluto etichette, non ha cercato di essere qualcunə che non era, è stata una leggenda perché ha faticato e lottato per vivere la vita a modo suo. Forse, dire che Raffaella Carrà era una femminista, o meglio, una transfemminista, può sembrare blasfemo, se non addirittura riduttivo. Raffaella Carrà è stata sé stessa e tanto basta. Una donna libera di autodeterminarsi. Un esempio, un’icona. Per questo continueremo a far suonare la sua musica leggera anzi leggerissima nelle strade e nei nostri cortei.

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Ha sfidato l’Italia bigotta a colpi di caschetto biondo e canzonette. Ma è stata soprattutto una donna libera e un’artista spregiudicata. Per questo, e per averci insegnato ad amare chi vogliamo, le saremo gratə per sempre
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