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Ha fatto il proprio debutto questa settimana su Disney+ la nuova serie tv ispirata a Y: l’ultimo uomo, il celebre fumetto firmato da Brian K. Vaughn e Pia Guerra (edito in Italia da Panini Comics).

Un evento misterioso colpisce il mondo, uccidendo simultaneamente tutti gli esseri viventi in possesso del cromosoma Y, e lasciando alle donne il compito di ricostruire la società e contrastare la discesa nella barbarie. I soli ad essere apparentemente immuni dalla catastrofe sono Yorick, un bravo ragazzo con la passione per l’escapismo e i giochi di magia, e la sua scimmietta cappuccina Ampersand.

In un ribaltamento delle classiche fantasie maschiliste sul lieto destino dell’ultimo uomo rimasto in un mondo popolato da donne, Yorick parte dagli Stati Uniti in un’odissea on the road alla ricerca del suo unico, vero amore: Beth, la sua fidanzata in trasferta in Australia.

Y: l’ultimo uomo si affianca così a Sweet Tooth, altra serie post-apocalittica distribuita recentemente da Netflix, e anch’essa tratta da un fumetto scritto e disegnato da Jeff Lemire (edizioni Panini Comics). Ma le due produzioni hanno anche altri punti in comune. Assistiamo ancora una volta a un mondo in rovina colpito da una misteriosa pandemia; e il protagonista è sempre un outsider, sebbene in questo caso si tratti di un bambino per metà uomo e per metà animale braccato dagli esseri umani mentre parte alla ricerca dei propri simili.

Y e Sweet Tooth si inseriscono nell’affollato genere dei fumetti apocalittici e post-apocalittici. Manga, graphic novel e serie di comic book che rispondono alla morbosa curiosità di andare a vedere come andrà a finire il mondo, e come se la passeranno i pochi sopravvissuti (se ve ne saranno).

Per comodità, e per quantità di titoli usciti recentemente su questo tema, sarebbe pratico fare una semplice distinzione all’interno del genere apocalittico: fumetti a tema zombie e… tutto il resto. In realtà, è possibile raggruppare questo prolifico sottogenere anche secondo un altro criterio, ovvero in base all’intento della narrazione.

Ci sono così i fumetti che usano l’idea dell’apocalisse come critica sociale, o come slancio per mostrare l’involuzione della civiltà verso la distopia, verso un nuovo medioevo o verso futuri remoti e visionari. Ci sono i fumetti interessati a raccontare la resilienza dello spirito umano dinanzi ad avversità impensabili, con un focus sui personaggi più che sul mondo. I fumetti di denuncia, che affrontano paure secolari come quelle della guerra o della catastrofe ecologica. E infine quelli che si limitano a soddisfare la bieca (ma divertente) curiosità di chi si sofferma a guardare il disastro per catturare gli elementi più scabrosi.

Uno dei capisaldi del genere, The Walking Dead (apocalisse zombie firmata da Robert Kirkman e Charlie Adlard, portata in Italia da edizioni Saldapress), deve il suo successo alla capacità di collocarsi saldamente sulla precaria linea di intersezione tra questi generi. Ci sono i momenti grotteschi e splatter, senza lesinare. Ma c’è anche un’attenzione alla vita, ai sentimenti e alle vicende dei protagonisti. E il fatto che il cast di personaggi muoia e venga riciclato pressoché di continuo (oltre a soddisfare lo spirito morboso di cui sopra, con morti shock e inaspettate) dona alla serie un respiro più ampio che allarga di continuo il campo visivo, sino a trasformarla nella storia della ricostruzione di una civiltà.

Nell’angolo più estremo siedono serie come Crossed di Garth Ennis e Marvel Zombies dello stesso Kirkman (entrambi editi da Panini Comics). La prima è un’apocalisse senza speranza, in cui un virus trasforma gli infetti in simil-zombie assetati di sangue e sesso, con scene riservate esclusivamente ad adulti dotati di stomaci forti: una serie senza altro scopo se non quello di vedere quanto in là si possano spingere i limiti in un fumetto distribuito nelle fumetterie e librerie mainstream.

La seconda è una miniserie sorprendentemente cupa per gli standard Marvel Comics, molto più del recente episodio della serie animata What If da essa ispirato. Nel fumetto, i supereroi diventano zombie animati da una fame insaziabile, mantenendo però le loro facoltà intellettive e i loro superpoteri. Avremo così un Hulk che mangia talmente tanta carne umana da scoppiare (letteralmente) quando ritorna nel più minuto corpo di Bruce Banner, e un Peter Parker che, una volta sazio, piagnucola in preda ai sensi di colpa per aver divorato Zia May.

Fortunatamente, non ci pensano solo gli zombie (o i vampiri, nella variazione sul tema di Vampire State Building firmata da Charlie Adlard, Ange e Patrick Renault, edita da Saldapress) a causare la fine del mondo. I “nonni” di tutti i fumetti apocalittici sono il britannico Judge Dredd , pluridecennale serie ambientata in un mondo distopico sopravvissuto a malapena all’olocausto nucleare delle Guerre Atomiche (portata in Italia da Editoriale Cosmo); e l’argentino L’Eternauta di Héctor Oesterheld e Francisco Solano Lopez (001 Edizioni), dove l’umanità è quasi spazzata via nell’arco di poche ore da un’inarrestabile invasione aliena. Lanciati rispettivamente negli anni ’50 e ’70, questi fumetti sono figli dei loro tempi, ancora ossessionati dalla paura dell’invasione, della Guerra Mondiale, della Guerra Fredda.

Da allora, le apocalissi ne hanno fatta di strada, svincolandosi dagli spettri di metà Novecento per acquisire nuove paure collegate al collasso ambientaleLe Transperceneige (meglio noto come Snowpiercer), di Jacques Lob, Jean-Marc Rochette e Benjamin Legrand (Editoriale Cosmo), racconta quanto accade a bordo di un treno che potrebbe essere tutto ciò che resta dell’umanità, in un mondo seppellito sotto i ghiacci da una catastrofe climatica. Il fumetto, diventato prima un film e poi una serie tv per mano del regista premio Oscar Bong Joon-ho, si inserisce con più decisione nel filone delle apocalissi con una visione politica. Il treno non è altro che una metafora della società, in cui i ricchi mangiano a spese dei poveri e la civiltà umana va avanti senza fermarsi, incurante del collasso ambientale che la circonda (ma per quanto a lungo?).

Mentre in The Massive di Brian Wood e Kristian Donaldson (Editoriale Cosmo), il gruppo ambientalista The Ninth Wave si muove in disperati interventi in un mondo che ha già superato l’orlo del baratro, tra alluvioni globali, cambiamenti climatici, estinzioni di massa. Ponendosi la domanda: ha senso continuare a combattere quando la guerra è già persa? In Animosity, di Marguerite Bennett, Rafael De Latorre (edizioni Saldapress), scopriamo cosa succederebbe se gli animali all’improvviso si “risvegliassero”, acquisendo raziocinio e facoltà di parlare (spoiler alert: non andrà benissimo per gli oppressori umani, numericamente soverchiati).

Ci sono poi apocalissi ben più originali dei soliti zombie, virus, alieni, guerre mondiali. Come al solito i più immaginifici sono i manga giapponesi. Ad esempio, in Dr. Stone di Inagaki Riichiro (Star Comics), una sfera di energia investe il mondo e pietrifica quasi tutti gli esseri umani. Mentre in Dragon Head di Mochizuki Minetaro (Panini Comics) il cielo viene oscurato da una nube di polvere che non soltanto cela la luce del sole, ma sembra anche risvegliare lo spirito della barbarie a Tokyo e dintorni, in un racconto che ricorda per molti versi Il Signore delle Mosche di William Golding. Per non parlare del folle e visionario Hellstar Ramina del maestro indiscusso dell’orrore giapponese, Junji Ito, in cui un pianeta senziente e demoniaco si accorge dell’esistenza della Terra e inizia un viaggio attraverso lo spazio per divorarla (Star Comics).

Anche l’Italia ha i propri titoli apocalittici e post-apocalittici, e c’è da andarne fieri, perché sono la fine del mondo.

A cominciare dalle serie di Sergio Bonelli Editore: Orfani, di Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari, in cui dei bambini, sopravvissuti a un misterioso attacco alieno che ha lasciato il mondo in rovine, sono reclutati e addestrati per  diventare super-soldati e portare la guerra nello spazio. E le storie che compongono il ciclo Il pianeta dei morti di Alessandro Bilotta, in cui tornano a far capolino gli onnipresenti zombie, e in cui Dylan Dog, il detective dell’incubo, non può che assistere alla fine del mondo. O, forse, alla nascita di un mondo nuovo e diverso.

Un’apocalisse visionaria e d’autore è quella mai narrata in Celestia, di Manuele Fior (Oblomov Edizioni). Siamo in un futuro remoto e non meglio specificato, in cui una Grande Invasione ha svuotato le grandi città, con l’eccezione di poche oasi sicure come una Venezia solitaria e teatrale. L’apocalisse, qui, diventa l’occasione per illustrare una città e un mondo che sembrano quasi purificati, e che possono essere bui e desolati, o ritratti sotto un cielo celeste e luminoso quanto il titolo dell’opera.

Altra opera d’autore è La terra dei figli di Gipi (edizioni Coconino Press), Gran premio della critica al festival internazionale di Angoulême nel 2018, da poco trasposto in film per la regia di Claudio Cupellini. Non sappiamo bene cosa sia successo, se non che la terra è popolata da pochi, sparuti sopravvissuti, ritornati ad uno stato di egoistica barbarie. E che di tutte le perdite, come in tante apocalissi narrate nei fumetti e non solo, forse la più dolorosa è quella della cultura che definisce il genere umano.

 

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Da Y: l’ultimo uomo a Sweet Tooth, tutti i modi in cui graphic novel e manga hanno narrato la fine del mondo
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