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Foto di drpepperscott230 da Pixabay

Nell’ultimo anno le maggiori compagnie petrolifere e del gas hanno aumentato gli investimenti in energie rinnovabili del 34% rispetto all’anno precedente, nonostante il calo del 6% della domanda globale di energia causato dalla pandemia da Covid-19. Tuttavia, questo aumento rappresenta solo il 3,6% delle spese totali di queste aziende, pari a un investimento di circa 8,8 miliardi di dollari rispetto ai 6,6 del 2019. Una tendenza che dovrebbe continuare a crescere, secondo la ricerca pubblicata dallo studio legale internazionale Cms, ma che sarebbe ancora troppo bassa per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi per limitare l’aumento del riscaldamento globale.

“Molte major dell’energia sono sulla strada giusta per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi – si legge nell’introduzione del report – ma tutte queste aziende stanno fallendo nel limitare il cambiamento climatico, che richiede investimenti urgenti e più ambiziosi rispetto a quelli fatti finora”.

La ricerca, commissionata da Cms al centro di consulenza e ricerca Capital Economics, ha preso in considerazione le strategie di investimento di 15 grandi compagnie, tra cui British petroleum, Shell, Total, Eni, Repsol, Equinor, Exxon, Chevron, Cnpc, Petrobras e Saudi Aramco. Di queste, 10 avevano annunciato che avrebbero raggiunto emissioni zero entro la fine del 2020, ma nessuna ha portato a termine questo obiettivo. Nell’ultimo anno, il più importante investitore in energia pulita è stato Shell con 2 miliardi di dollari, seguito da Total con 1,7 e da Eni con 1,6. Secondo le previsioni di Cms, l’investimento complessivo dovrebbe raggiungere i 10 miliardi entro il 2030, anche se la sua raccomandazione è di procedere con un aumento pari ad almeno 28 miliardi entro lo stesso anno.

Oltre alla quantità degli investimenti, l’altro aspetto che potrebbe rallentare il raggiungimento degli obiettivi di Parigi è la destinazione di questi fondi. Nonostante i colossi dei combustibili fossili stiano rivolgendo la loro attenzione verso eolico, solare, idroelettrico o idrogeno, un settore in cui stanno spendendo molto è quello delle tecnologie per la cattura e il sequestro del carbonio. La cosiddetta Ccs, riporta il Guardian, è una tecnologia che non si è rivelata efficace per ridurre le emissioni di CO2, specialmente per quanto riguarda le emissioni delle centrali a carbone. Ciononostante il governo australiano, per esempio, ha investito oltre 300 milioni di dollari in questa direzione, tra cui alcuni direttamente destinati ai colossi dei combustibili fossili come la Santos (gas) e la Glencore (che gestisce centrali elettriche a carbone).

Il mese scorso, l’Agenzia internazionale dell’energia ha riportato un aumento del 45% nella quantità di energia rinnovabile installata nel 2020 a livello globale, il più forte aumento anno su anno in tre decenni. Tuttavia, esperti e associazioni ambientaliste stanno sottolineando come la strada per la salvaguardia del nostro pianeta necessiti di azioni ancora più ambiziose e rapide.

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Nel 2020 c’è stato un aumento del 34% della spesa, ma le risorse allocate sono ancora poche e alcune tecnologie adottate non aiutano a frenare la crisi climatica
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