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(foto: Yoav Aziz/Unsplash)

Come sappiamo da molti mesi, il ruolo principale dei vaccini contro Covid-19 è di abbattere drasticamente il numero di casi gravi della malattia, di ricoveri ospedalieri o in terapia intensiva e di decessi provocati dal nuovo coronavirus. Accanto a questo decisivo beneficio, sempre confermato per tutte le varianti, la comunità scientifica si sta interrogando su quanto le formulazioni vaccinali siano in grado anche di impedire la trasmissione del virus da persona a persona.

E se all’inizio sembrava che la risposta potesse essere positiva, inducendo un ottimismo anche oltre le aspettative, la questione pare invece essere più complessa e incerta quando si tratta della variante delta del Sars-Cov-2, che come noto ha una capacità di trasmettersi e diffondersi superiore rispetto a quelle precedenti. Tanto da essere diventata in breve tempo, dopo la prima diffusione in India, la variante predominante in molti paesi, Italia inclusa.

A fare il punto della situazione, sulla base dei dati e delle evidenze scientifiche a oggi disponibili, è stata in pieno agosto la rivista Nature, che sulla base di 5 studi realizzati tra la fine della primavera e l’estate ha cercato di tirare le fila di quello che sappiamo (e di quello che ancora non sappiamo) a proposito di vaccini, variante delta e trasmissibilità.

I vaccinati possono trasmettere, ma quanto?

Sul fatto che, nonostante un ciclo vaccinale completo, una persona possa comunque diffondere il virus ad altri non ci sono dubbi ormai da settimane. La vera questione, infatti, è capire se e di quanto la vaccinazione possa ridurre la probabilità di trasmissione e di contagio: nel caso della variante delta, la risposta di cui disponiamo è che una certa riduzione della trasmissibilità può esserci, anche se troppo piccola per poterci permettere di allentare le misure di contenimento anti-contagio.

Si tratta infatti di un effetto poco rilevante. Secondo lo studio più recente di cui disponiamo, pubblicato in versione pre-print lo scorso 11 agosto – così come sostengono anche un report del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense sempre di questo mese e una ricerca condotta in Texas nel corso della primavera – non sono state trovate differenze significative nella carica virale presente nella cavità nasale tra persone vaccinate e non vaccinate. O meglio, tutte e tre le ricerche hanno concluso che anche le persone vaccinate infettate con la variante delta e sintomatiche avevano “un’alta carica virale”, di certo sufficiente a contagiare eventuali contatti stretti.

Più lusinghieri nei confronti dei vaccini sono invece i risultati di uno studio ancora in pre-print (pubblicato a fine luglio) condotto a Singapore e quelli del programma Reatc-1 del Regno Unito, che ha coinvolto oltre 100mila volontari. Nel primo caso è stato dimostrato che la carica virale da variante delta resta nella cavità nasale nei vaccinati per un periodo tempo più breve rispetto ai non vaccinati. In particolare, per i primi 7 giorni di infezione la carica virale è risultata analoga tra vaccinati e non vaccinati, ma nelle sole persone con il ciclo vaccinale completo ha poi iniziato a diminuire in modo significativo e rapido.

Lo studio britannico, invece, ha concluso che la carica virale media delle persone vaccinate è quantitativamente più bassa rispetto ai non vaccinati. L’apparente discrepanza rispetto agli altri studi, però, è stata giustificata dagli autori spiegando che nel loro caso sono state incluse nella statistica anche le persone positive alla variante delta ma asintomatiche. Dunque se ne deduce che il vaccino determina una frazione più grande di asintomatici, oppure che in questi porta a una carica virale più bassa rispetto al caso in cui manchi la copertura vaccinale.

Una biologia diversa, ma la mascherina resta

Una delle conclusioni tratte da Nature, e a sua volta messa nero su bianco in diverse pubblicazioni scientifiche che abbiamo già raccontato qui su Wired, è che la variante delta del Sars-Cov-2 provoca una dinamica dell’infezione diversa dalle altre, come testimonia anche il tempo medio più lungo di ricovero in ospedale e la più alta diffusività.

In attesa di raccogliere dati più precisi e accurati sull’effettiva carica virale che può generarsi nelle persone vaccinate, e su quanto la frazione vaccinata della popolazione possa contribuire alla circolazione complessiva della variante delta, una cosa è certa: il vaccino non giustifica di per sé l’abbandono delle misure di prevenzione del contagio, dall’uso dalla mascherina all’igiene delle mani fino al distanziamento.

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La variante delta determina una carica virale più alta delle altre anche in chi ha completato il ciclo, ma il contributo dei vaccini fa la differenza e resta decisivo
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