The Seven Deadly Sins: Dragon’s Judgement è stata diffusa in Giappone a gennaio, mentre da noi ha debuttato il 28 giugno su Netflix. L’ultima stagione dell’anime fantasy più visto di sempre sulla piattaforma digitale giunge con la quarta (la quinta, secondo la numerazione imposta dal canale) e ultima annata riprendendo da dove era stata sospesa la trasposizione del manga shonen (per ragazzi) di Nakaba Suzuki, mettendo in scena gli sforzi dell’immortale Ban per salvare il suo capitano, Meliodas, dall’esilio in purgatorio. The Seven Deadly Sins è un anime ambientato in una realtà alternativa a quella dell’Inghilterra medievale dei miti arturiani. Leggende, personaggi e nomi traggono ispirazione dal ciclo bretone, a loro volta integrati in una mitologia di origine biblico-cristiana, con i protagonisti – il demone Meliodas e gli altri cavalieri che incarnano i peccati capitali – via via sempre più coinvolti in una Guerra santa promossa dalle schiere angeliche degli dei contro la razza demoniaca.
La narrazione era entrata nel vivo con Wrath of the Gods, la stagione precedente incentrata sugli scontri tra l’esercito divino – composto dagli arcangeli -, quello demoniaco – formato dai Dieci comandamenti – e quello dei Sette peccati capitali. Quest’ultimo è un gruppetto assortito di guerrieri potentissimi formato da umani, fate, giganti, stregoni e il protagonista, il fortissimo Meliodas, dall’aspetto di grazioso e nerboruto ragazzino biondo, l’erede refrattario del trono del re dei demoni. Sconfitto e relegato in purgatorio, Meliodas aveva lasciato i compagni e l’amata principessa Elizabeth a combattere da soli; nelle puntate inedite lo ritroviamo prigioniero del Purgatorio. Qui si è riunito all’amico Ban, ha conosciuto il fratello di un altro personaggio dalle insospettabili origini demoniache e si è confrontato con il crudele padre, mentre Merlin, Escanor e l’arcangelo Ludociel combattono all’ultimo sangue con i demoni Zeldris, Cusack e Chandler e gli altri Peccati capitali affrontano Estarossa, reso pazzo dalla gelosia e dall’amore per Elizabeth.
I segreti del successo di The Seven Deadly Sins erano la sua semplicità – personaggi archetipici immersi nelle situazioni tipiche del fantasy – il carisma dei protagonisti – Meliodas e Ban in primis – e lotte furibonde tra cavalieri e creature soprannaturali, una più entusiasmante dell’altra. Conquistava e conquista l’abnegazione e il candore di Meliodas, demonio vittima di una maledizione che lo costringe ad assistere continuamente alla morte dell’amata (più volte reincarnatasi), a perire a sua volta e resuscitare solo per ripetere lo stesso doloroso ciclo. Con l’avanzare delle stagioni, tuttavia, le storie si sono fatte più complesse, i retroscena più contorti, i flashback tasselli di un mosaico quasi indecifrabile. Contemporaneamente, il passaggio di consegne dallo Studio di animazione A-1 Pictures al mediocre Studio Deen, ha segnato un momento di crisi nella qualità – e nella popolarità – dell’anime.
Con quest’ultima stagione, The Seven Deadly Sins si assesta e risolleva, dopo la flessione di Wrath of the Gods, più perché i fan leali dello show si sono assuefatti e arresi alla nuova grafica che per un deciso miglioramento dell’animazione. Il background intricato dei personaggi e delle loro relazioni, completato dei tasselli mancanti, è ora percepibile come ricco ed eleva i protagonisti a figure realistiche piuttosto che a meri archetipi: l’ossessione di Estarossa per Meliodas e Elizabeth ha finalmente senso così come la sua natura originariamente innocua; il rancore di Zeldris nei confronti del padre viene giustificato; la soprannaturale resilienza di Hawk ilarmente chiarita e la misura delle colpe dei reali di Cielo e Inferno nei confronti dei figli misurato e condannato.
Sotto sotto, The Seven Deadly Sins, più che il tipico shonen per teenager appassionati di videogiochi fantasy e picchiaduro, evolve – complice anche la scomparsa degli atteggiamenti da maniaco del protagonista – in quello che è quasi uno shojo (una storia per ragazze), rivolto ai lettori più romantici (un discorso simile valeva per Ken il guerriero): Meliodas ha sopportato una maledizione millenaria per amore della dea Elizabeth; Ban ha patito orribilmente per riportare in vita la sua compagna, la fatina Elaine; Zeldris e Estarossa hanno sacrificato la propria bontà per donne che non hanno mai potuto amare. Il percorso è analogo anche per altri personaggi devoti fino alla morte alle rispettive anime gemelle, da King a Escanor, da Gowther a Gilthunder.
Se siete cinici, The Seven Deadly Sins è terribilmente melensa, altrimenti le sue storie sono destinate a coinvolgere il pubblico fino alla fine nonostante i disastri dell’animazione Deen. Il reato dello Studio non risiede (solo) nell’aver degradato l’estetica della serie con un character design dozzinale: ha minato, con la sua mediocre animazione – e alcune inspiegabili censure volte a mitigare la brutalità dei duelli – la resa estetica delle battaglie, ciò che più di ogni altro fattore intrigava gli spettatori testimoni di duelli furibondi (sempre più violenti e spettacolari grazie all’aumento del livello di potenza di Meliodas & co). Alla fine, The Seven Deadly Sins volge alla conclusione tendendo a un miglioramento rispetto all’annata precedente; lascia il pubblico innamorato dei personaggi più che intrigato per la varietà della mitologia fantastica o entusiasta per la messa in scena adrenalinica delle sequenze d’azione.
Come altre serie anime molto amate e reperibili su Netflix – basti pensare a Demon Slayer o Psycho-Pass – The Seven Deadly Sins è un prodotto che si ricorda per il talento del suo autore come creatore di personaggi che come dispensatore di azione.
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L’ultimo capitolo della serie fantasy ad ambientazione medievale è su Netflix dal 28 giugno. Dopo una stagione dalla confezione scadente, i nuovi episodi tornano a far amare i suoi indimenticabili personaggi.
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