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Questo sequel conferma il talento alla regia di John Krasinski fin dalla prima scena. Vediamo un cittadina vuota, è il mondo post apocalittico introdotto nel film precedente… invece no, dopo poco arriva un’auto, fa rumore, evidentemente siamo nel pre apocalisse. Ancora più nello specifico siamo nel momento in cui tutto è cambiato, quando sulla Terra sono arrivati gli alieni che ci hanno decimato e che sono attratti solo dai suoni. Una premessa sempliciotta anima una scena di tensione eccezionale, ben giostrata tra diverse situazioni e personaggi. È l’annuncio di come sarà tutto il film.

Con un inizio che porta dentro alla vicenda anche chi non ha visto il primo episodio e che, senza bisogno che nessun personaggio lo dica apertamente, ci spiega il punto dell’intreccio (per l’appunto ci sono mostri pericolosissimi che sventrano gli esseri umani e l’unica maniera per non attirarli è non fare rumore), A Quiet Place 2 introduce i suoi protagonisti: una madre (Emily Blunt) dotata di una tenacia eccezionale, una figlia sordomuta e un figlio spaventato.

A Quiet Place 2 inizia un minuto dopo la fine di A Quiet Place. I superstiti incontrano un nuovo personaggio e con lui tentano di spostarsi là dove forse ci sono altri umani, una resistenza, un minimo di organizzazione. Questa è la trama. Né più né meno. Un intreccio al minimo per quello che alla fine è un survival movie. Non ci sono nuove consapevolezze da maturare e non c’è un arco narrativo da compiere: c’è da non morire e basta. È la ricetta per un film banale che invece nelle mani di Krasinski diventa ottimo. Per lui ogni scena è un’occasione per creare tensione o prepararla. Un film in cui nessuno deve fare rumore è un parco giochi di trovate: il regista vede possibilità di fare cinema ovunque. Non copia, inventa. Un cronometro con cui regolare il tempo per sopravvivere dentro un forno, una bombola d’ossigeno che potrebbe terminare o una ragazza che non sente il nemico avvicinarsi. Sono tutte armi dall’arsenale creativo di Krasinski.

Ispirato in parte a The Last of Us, con una scelta vincente di non mettere in primo piano le performance degli attori ma tenerle al minimo, A Quiet Place 2 costruisce un sequel all’altezza dell’originale che ne amplia la prospettiva come è abitudine dei secondi film, ne rilancia le ambizioni e ne prosegue con coerenza i presupposti. È il tipico “film-meccanismo”, quello in cui la tensione è tutto ciò che conta e ogni dettaglio della storia è lì per favorirla o è propedeutico alla tensione che deve ancora venire.

È infatti solo Krasinski che rende complicata questa storia. La sua regia di fatto riscrive il film, mette in parallelo due eventi separati, facendoci saltare dall’uno all’altro in modo che la tensione del primo (pieno di rumori) accresca il secondo (giocato sul silenzio), oppure allunga una scena mostrandoci nello sfondo quel che il personaggio in primo piano non sta guardando. Si tratta del meccanismo base del cinema: rilasciare gradualmente le informazioni, impiegare poco meno di due ore a dire tutto, così che ogni passaggio sia significativo, carico e (nel caso specifico) massimizzi la tensione narrativa.

Perché A Quiet Place 2 in realtà, privato della sua tensione e dei mille modi sempre diversi e creativi con cui cerca di ingarbugliare acque in realtà semplici sarebbe anche un film noioso. Noiosi sono i personaggi, dotati di personalità risibili e privi di qualsiasi conflitto. Noiosa è la storia in sé, finalizzata alla sopravvivenza ma senza alcun dilemma morale o senza questioni che mettano in crisi qualcuno o qualcosa. Noioso e l’intreccio, perché non accade mai nulla di imprevedibile. Noiosissimi infine sono i dialoghi, privi di qualsiasi verve. Eppure tutto questo inserito nel meccanismo della tensione di Krasinski diventa un film che non lascia mai andare lo spettatore, lo inchioda, lo costringe a stare nel silenzio più assoluto e ne esalta le capacità di interazione con un film che ti sfida sempre a capirlo senza l’aiuto delle parole.

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In sala dal 24 giugno, la storia riprende i presupposti del primo episodio, non li rinnova ma li gestisce al meglio incastrando lo spettatore in un meccanismo narrativo ad alta tensione che si sconta momento per momento
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