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Quello di Roma sarà uno scontro fra i più interessanti delle prossime amministrative, anche e soprattutto in ottica nazionale. Comunque vada, la capitale affronterà l’elezione più importante degli ultimi anni: quella del post-Raggi, che appare lontanissima da qualsiasi possibilità di rielezione. L’ultimo sondaggio Swg dà la sindaca fra il 13 e il 17% al primo turno. A guidare il quartetto dei principali candidati è Enrico Michetti del centrodestra con il 30/34% dei consensi, seguito da Roberto Gualtieri, in una forbice fra il 27 e il 32%, e da Carlo Calenda fra il 20 e il 24%. Il leader di Azione, tuttavia, sembrerebbe spuntarla con facilità in diversi scenari da ballottaggio, semmai riuscisse ad arrivarci, superando la concorrenza del Pd.

Enrico Letta vota alle primarie del Pd per la scelta del candidato sindaco di Roma 

E il punto delle elezioni capitoline è tutto qui: la lotta fratricida fra due candidati che pescheranno in gran quantità dallo stesso bacino elettorale. Forse non del tutto sovrapponibile ma comunque il più affine fra quelli a cui puntano gli altri due candidati. Mettendo in crisi moltissimi elettori. Il primo, Gualtieri, imposto dalle primarie della “ditta” come d’altronde Matteo Lepore a Bologna, ma comunque una personalità importante, ex ministro dell’Economia in ottimi rapporti con Giuseppe Conte e che potrebbe strappare un bel pezzo di torta pentastellata al ballottaggio. Il secondo, Calenda, sceso in campo ormai da mesi, perfino a rischio logoramento, e su cui il Pd romano – non nuovo a complesse operazioni cesaricide – non ha mai avuto intenzione di convergere, preferendo le pseudo-primarie andare in scena domenica 20 giugno.

Il segretario democratico Enrico Letta ha commentato entusiasta che “il popolo del centrosinistra c’è”. L’affluenza romana è stata in effetti paragonabile ai livelli pre-Covid, per cui la soddisfazione del Nazareno è palpabile. Eppure mai come questa volta, con tanti candidati in corsa e a loro modo molto forti, ciascuno in grado cioè di assicurarsi graniticamente il suo pezzo di consenso tranne i due più prossimi (proprio Gualtieri e Calenda), il “popolo del centrosinistra” rischia di essere una confortante illusione ottica delle primarie.

Bisognerà infatti capire se e come si manifesterà a ottobre: il successo della macchina organizzativa a giugno ha infatti di fronte una serie di scenari possibili che prescindono totalmente dal votino di ieri. Il primo: lo scontato ballottaggio Michetti-Gualtieri, dove al secondo potrebbe bastare il soccorso contiano per farcela, senza dover scendere a patti con l’amico-nemico già ministro renziano. Il secondo: l’assai meno probabile ballottaggio Michetti-Calenda, dove a quel punto il Pd si ritroverebbe costretto a sostenere il secondo, perché non avrebbe alcun senso non farlo. In tutto questo c’è l’elettorato 5 Stelle, che potrebbe tornare a sfaldarsi in tante direzioni diverse fin dal primo turno, dove il partito è dato al 14,2%. Cambiando alcuni dei fattori che in questo momento, a molti mesi di distanza, diamo per assodati.

Al solito, l’unica certezza è che Michetti farà il pieno di quasi tutti i voti disponibili a destra (35,5% della coalizione). Potrebbero però non bastargli al ballottaggio, dove al 32,6% stimato per la coalizione di centrosinistra convergerà almeno una frazione del 15,2% di Azione e appunto dei pentastellati. Insomma, a ottobre si capirà se e come quel “popolo del centrosinistra”, qualsiasi siano i suoi connotati, sarà in grado di sopravvivere alle divisioni del primo turno e ricompattarsi al secondo, senza sperare che alcuni facciano il lavoro per altri. Se, insomma, esista davvero. Governare Roma, e anzi resuscitarla dopo il disperante quinquennio di Raggi, sarà però un’altra co(r)sa.

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Gualtieri incoronato dalle primarie, Michetti che farà il pieno a destra, Calenda che vincerebbe tutti i ballottaggi (se mai riuscisse a raggiungerli), Raggi che appare senza speranze ma con tanti voti in uscita: i prossimi mesi verso Palazzo Senatorio
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