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Il Partito Democratico si sta ancora leccando le ferite per il flop delle primarie torinesi che già, all’orizzonte, si staglia una nuova chiamata alle urne della propria gente. Il prossimo weekend si dovranno infatti scegliere i candidati ufficiali del centrosinistra di Roma e Bologna e l’obiettivo, anzi la speranza, è che i democratici possano ripulirsi l’immagine dopo quanto avvenuto nel capoluogo piemontese nell’ultimo fine settimana. Che qui ci siano state le primarie in molti nemmeno se ne sono accorti, perfino i giornali locali hanno dedicato poco spazio all’evento e alla fine sono stati solo 13mila i torinesi che hanno partecipato al voto, vinto da Stefano Lo Russo.

 

Modena. National Day of the Unity. In the photo Enrico Letta, former Prime Minister (Modena – 2020-08-31, ROBERTO BRANCOLINI) p.s. la foto e’ utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e’ stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

 

Queste sono le prime attività del post Covid, sono naturalmente con numeri più ridotti rispetto a prima”, la giustificazione del segretario Enrico Letta. Una versione che può avere un senso, ma che resta comunque insufficiente per spiegare il perché a Torino sia andata così. Le aspettative erano molto più alte, gli stessi candidati avevano parlato di un obiettivo di 30mila votanti e se ce ne sono stati meno della metà non può essere solo colpa del virus, visto che l’Italia si trova in piena fase di riaperture e voglia di normalità. Torino arriva da anni pentastellati molto tribolati, dove la sindaca Chiara Appendino è stata al centro di feroci polemiche da parte di cittadinanza e opposizioni. Se c’è un posto dove si sarebbe immaginata un’espressione palese della voglia di cambiamento, sotto forma di alta partecipazione elettorale già nelle fasi antecedenti al voto ufficiale, è proprio il capoluogo piemontese. Se non è andata così è perché c’è un problema a monte, che non riguarda solo la città.

Questo problema, semmai, è in uno strumento, quello delle primarie appunto, che ha fatto la fortuna del Partito Democratico nelle sue prime fasi di vita e che ora ha perso di consistenza e credibilità. Se prima era il simbolo del legame tra partito e opinione pubblica, con quest’ultima sempre giudice di ultima istanza riguardo a quanto succedeva al suo interno, oggi le primarie democratiche rappresentano il discostamento tra il Nazareno e la sua gente. Sono finiti i tempi in cui tanti imponenti candidati battagliavano amichevolmente per dare il proprio marchio al partito, con l’elettorato che sentiva di contare davvero qualcosa nelle sue dinamiche interne. 

Oggi il sistema della primarie è invece espressione del correntismo più sfrenato e viene usato non come mezzo di competizione con cui dare l’ultima parola all’elettorato ma come forma di affermazione di quanto già deciso in alto. Che il candidato di Torino sarebbe stato Stefano Lo Russo si sapeva già, dal momento che la dirigenza democratica regionale e cittadina gli aveva dato il suo endorsement. Così come già si sa che a Roma il candidato sarà Roberto Gualtieri e a Bologna, a meno di sorprese, Matteo Lepore. Altrove le primarie non sono state nemmeno convocate e il partito ha gestito la cosa internamente. Davanti a una situazione di questo tipo, la gente si interroga sul suo ruolo, sul senso di andare a scegliere quando la scelta c’è già stata e di non poter scegliere quando il partito ha deciso da sé, come a Napoli. Le primarie hanno così perso di valore e questo è solo uno dei tanti modi con cui si sta consumando la frattura tra il Partito Democratico e il suo elettorato. Quest’ultimo abituato a essere messo al centro del progetto, ora ignorato o strumentalizzato per dare eco alle lotte fratricide interne.

Zingaretti ha detto che le primarie restano un valore aggiunto del centrosinistra. Letta ha inspiegabilmente definito un successo l’affluenza torinese. La realtà è che il declino del partito non sembra volersi fermare, mentre la sua dirigenza resta miope di fronte a questa caduta. Le primarie sono un grande strumento democratico, ma solo nel momento in cui hanno credibilità, fanno sentire i cittadini importanti. Questa crisi di fiducia che si sta consumando tra la base e i vertici è il vero problema del Partito Democratico degli ultimi anni, una crisi che nelle primarie di Torino si è mostrata in tutta la sua drammaticità.

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Secondo Letta la scarsa affluenza è legata al fatto che siamo appena usciti dalla pandemia. Ma una lettura più critica punta il dito contro le divisioni interne del partito che lo allontanano sempre più dagli elettori
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