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(foto: Daniel Roberts via Pixabay)

La variante indiana o delta del coronavirus è oggi sempre più sotto i riflettori degli scienziati. Diffusa inizialmente in India, questa variante (in sigla B.1.617.2), che oggi assume il nome di delta, secondo la nuova nomenclatura dell’Oms, si è sparsa in numerosi altri paesi e nel nostro continente soprattutto nel Regno Unito, dove oggi è prevalente e rappresenta il 91% dei nuovi casi. Sul database di Gisaid possiamo trovare la mappa aggiornata della sua diffusione.

La variante delta risulta essere più contagiosa, dal 40 al 60%, rispetto a quella inglese (ora nota come alfa) e, secondo i dati della Public Health England, sarebbe associata ad un rischio circa 2,5 volte più alto di ricovero. La maggiore aggressività di questo ceppo è confermata anche da nuove informazioni dettagliate, provenienti dalla Cina che, come riferisce il New York Times, sono state presentate dai medici cinesi alla televisione di stato. In particolare, secondo la loro testimonianza i sintomi e l’andamento della malattia Covid-19 sarebbero differenti. Cosa sappiamo.

Sintomi più gravi e rapidi

Stando a quanto riportato dai media, generalmente la quantità di virus rilevata dai test risulta maggiore. Grazie all’ampia capacità di testare i casi e alla diffusione a tappeto dei tamponi nelle zone in prossimità dei focolai, la Cina fornisce dati molto abbondanti e dettagliati. Secondo quanto affermato dai medici in televisione, i pazienti si ammalano e sviluppano sintomi anche gravi più rapidamente. Secondo Guan Xiangdong, direttore del reparto di terapia intensiva alla Sun Yat-sen University, circa il 12% dei pazienti presenta forme severe o molto severe entro 3 o 4 giorni dalla comparsa dei sintomi, mentre in passato la percentuale si attestava intorno al 2-3% e solo occasionalmente poteva arrivare al 10%.

La situazione oggi

Per il Regno Unito il 21 giugno non sarà più il giorno della riapertura, ovvero la data in cui era previsto l’allentamento delle restrizioni, rinviato di un mese proprio a causa della variante delta. Nel frattempo il premier Mario Draghi sottolinea che attualmente per entrare in Italia è necessario (e sufficiente) il tampone, ma qualora dovessero risalire i casi positivi dovremmo reinserire la quarantena per chi arriva dal Regno Unito. Da febbraio fino al 7 giugno ci sono state oltre 33mila diagnosi nel Regno Unito, ma ci sono casi anche negli altri paesi d’Europa, anche se per fortuna ancora circoscritti: ad esempio in Italia si stima che i positivi colpiti dalla variante delta siano intorno all’1%.

L’importanza delle due dosi

La variante delta è stata scoperta per la prima volta in India nel dicembre 2020. Da allora secondo i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) statunitensi si è diffusa in circa 60 paesi.  Recentamente l’Oms l’ha fatta passare da variante di interesse a variante che desta preoccupazione, secondo la classificazione ufficiale. Ed è la quarta preoccupante oltre alla variante inglese, sudafricana e brasiliana (ora alfa, beta e gamma). Bisogna sottolineare che anche contro la variante delta la vaccinazione – in particolare con due dosi – resta uno strumento centrale nella lotta al coronavirus e anche alla variante delta. Se la prima dose non è molto efficace contro la variante delta, invece la seconda potrebbe esserlo molto di più. Insomma, nel caso della circolazione della variante delta, l’opzione di ritardare il richiamo potrebbe non rappresentare più la strategia ottimale, dato che la copertura dopo la prima non è sufficiente.

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Da nuovi dati forniti dalla Cina la variante indiana o delta sarebbe associata più spesso a forme più severe, con una comparsa più rapida dei sintomi gravi. La variante è diffusa al 91% nel Regno Unito
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