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Quando si legge di una persona che spara all’impazzata in strada subito la mente va agli Stati Uniti. Tragedie di questo tipo interrompono quotidianamente la tranquillità a stelle e strisce, facendo sì che il dibattito sulla diffusione delle armi e su quel secondo emendamento della Costituzione che ne fa un diritto inalienabile non finisca mai per sgonfiarsi. Questa volta però la storia arriva dall’Italia, più precisamente dalla provincia romana di Ardea: nella giornata di ieri un uomo con gravi disturbi psichici ha sparato e ucciso due fratellini di 5 e 10 anni, oltre che un anziano che cercava di proteggerli. Poi si è in barricato in casa, assediato dai reparti speciali dei Carabinieri. Infine si è tolto la vita.

Ardea, il parco dove, il 13 giugno 2021, Andrea Pignani ha sparato uccidendo un’anziano e due ambino di 5 e 10 anni, prima di barricarsi in casa e togliersi la vita

Sembrerebbe una storia americana in suolo italiano, in realtà è una vicenda a cui non è così raro assistere nel nostro paese. Se ne parla poco, ma anche l’Italia ha un problema con le armi, certamente non paragonabile a quello statunitense, ma comunque da non sottovalutare. La cronaca è costellata da stragi simili, che finiscono nel dimenticatoio solo perché meno eclatanti e diffuse, ma comunque testimonianze dirette di come troppo spesso le armi si trovino nelle mani sbagliate, a volte per caso, a volte per buchi legislativi evidenti. In Italia come negli Stati Uniti, avere accesso a un’arma è troppo facile.

Andrea Pignani, così si chiamava l’assassino, aveva un’arma perché il padre faceva la guardia giurata ma qualche mese fa era deceduto. La pistola era dunque rimasta in casa, come se la licenza di porto d’armi avesse natura ereditaria, quando invece si tratta della cosa più personale che esista. Verrebbe da pensare che si sia trattato di una terribile coincidenza, stava alla famiglia denunciare la presenza di un’arma non più legittima, ma la realtà è più complessa di così. Una pistola è uno strumento di morte e non ci si può affidare alla discrezionalità dei singoli, il compito di vigilare dovrebbe essere nelle mani dello stato. E lo stato italiano fa troppo poco per capire quante armi girino in Italia e in che mani si trovino.

immagine iPa

L’Italia è il primo paese in Europa per omicidi da arma da fuoco. Per possedere un’arma basta essere incensurati e presentare un certificato di salute mentale e fisica compilato in quattro e quattr’otto dal medico di base. Per usare l’arma basta invece qualche ora di esercitazione. In molti ottengono la licenza sportiva, si iscrivono ai poligoni, ma poi non vanno mai a sparare: è solo uno stratagemma per avere un porto d’armi, che sfrutta le maglie molto larghe della legislazione italiana. L’accesso alle armi è insomma un gioco da ragazzi ma il problema è che manca poi una vigilanza attenta nelle fasi successive: lo stato non ha idea di quante licenze siano state rilasciate, stesso discorso per il numero di armi legali circolanti. Gli esami di salute psico-fisica per il rinnovo della licenza vengono inoltre fatti ogni cinque anni, un intervallo lunghissimo durante il quale molte cose possono cambiare. Una situazione completamente fumosa, che spiega perché si verifichino tragedie come quella di Ardea.

Lo stato italiano non ha saputo intervenire al momento del decesso del padre dell’assassino, guardia giurata. Quando muore un legale detentore di armi da fuoco esse andrebbero rottamate, ma manca un sistema di pene e controlli istituzionali che deriva dall’assenza di un censimento che dica chi è in possesso di cosa. C’è un problema di monitoraggio e di comunicazione tra questure e organi sanitari in Italia che sta producendo una situazione di anarchia, dove il diritto ad armarsi è sempre più diffuso e la detenzione illegale di armi nella migliore delle ipotesi porta a qualche centinaia di euro di multa, nella peggiore non viene nemmeno rilevata. Tragedie come quella di Ardea sono così dietro l’angolo, perché è un attimo che in un contesto simile le armi finiscano nelle mani sbagliate.

Non è solo un problema di inefficienza, alla base c’è la politica. Da due anni è bloccato in Senato un disegno di legge che prevede la creazione di un registro elettronico con tutti i possessori legali di armi, intanto parte della politica italiana continua a spendersi per allargare ulteriormente le maglie legislative in nome della legittima difesa, invocando un diritto ad armarsi e a sparare di ispirazione statunitense ed ergendo a eroe chi preme il grilletto in situazioni di difficoltà. Quella di Ardea è solo una delle tante tragedie avvenute nel weekend: a Ventimiglia e Torino ci sono stati due femminicidi con seguente suicidio dell’assassino. Otto morti per armi da fuoco in 48 ore, il tragico bollettino di un’Italia in cui manca un controllo reale sulle armi da fuoco e dove il populismo politico fa di tutto perché le cose non cambino.

 

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Siamo il paese con più morti per armi da fuoco in Europa. L’autore della strage, terminata con un suicidio, ha usato la pistola del padre deceduto. In Senato è fermo un disegno di legge per creare un registro elettronico con tutti i detentori legali
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