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Entro il 2050 due terzi della popolazione mondiale vivranno in città. Uno spostamento che procede al ritmo di 70 milioni di persone all’anno, spesso al di fuori di ogni regola di buonsenso dal punto di vista urbanistico e sociale. Le città sanno da tempo di doversi confrontare con il cambiamento climatico. Fino a pochi anni fa battaglia di poche avanguardie ecologiste, temi come il riscaldamento globale e l’innalzamento delle acque oggi sono diventati centrali nelle politiche nazionali e locali.

Hanno contribuito le lotte di Greta Thunberg, così come i danni devastanti hanno convinto i giganti dell’economia come Blackrock e le assicurazioni, travolti da richieste di risarcimenti miliardari per eventi meteo estremi, che non era più possibile rimandare. ciati a pratiche poco “verdi”.

Un mondo di città a rischio

Il mondo si è già riscaldato di un grado rispetto all’era più industriale e gli scienziati fanno notare che persino nel caso (ritenuto assai improbabile) di un rapido stop alle emissioni, gli effetti si manifesterebbero per decenni. Siamo ancora in tempo? Da Londra ad Amsterdam, da Lagos al Mumbai, da Città del Messico a Venezia, alcune delle città più grandi e ricche di storia del pianeta guardano con preoccupazione al futuro. Ma anche le Maldive, mille isole bassissime – le più note popolate dai resort, le altre dai locali (e dai rifiuti) –  temono il calendario: rischiano di essere sommerse.

Come tante altre calamità, anche il cambiamento climatico non è uguale per tutticolpisce più forte chi ha di meno, ammoniscono gli esperti, moltiplicando le minacce già esistenti. Haiti, poverissima, colpita da uragani tropicali e, nel 2010, dal secondo terremoto più disastroso della storia, ne è un esempio. Ma ce ne sono in Brasile, in Bangladesh, nelle Filippine. Le condizioni economiche precarie non fanno altro che peggiorare un quadro di per sé pessimo.

Se per fermare l’inquinamento è necessario l’intervento dei governi, per limitare gli effetti degli eventi climatici estremi il primo passo è conoscere i rischi a cui il territorio è esposto. Ma solo poco meno della metà delle città avrebbe condotto un’analisi delle proprie vulnerabilità, un quarto ha identificato i segmenti di popolazione più vulnerabili. Secondo Cdp, organizzazione che ha curato un dettagliato report sulle minacce globali alle città, i rischi principali sono spesso comuni: ondate di calore, siccità, tempeste violentissime oltre, naturalmente, all’innalzamento dei mari, che rischia di mandare sott’acqua interi agglomerati.

Il ruolo dei buoni comportamenti

Cosa fare quindi? In attesa dei governi, molto possono le aziende, moltissimo i consumatori. Alcune ricerche hanno cominciato a dimostrare che comprare “verde” non è più un atto radical chic: è sempre di più la classe media a a mettere nel carrello prodotti green, amici dell’ambiente, della preservazione delle foreste e dei mari. Le vetture elettriche aumentano sulle nostre strade, e si sta lavorando perché l’idrogeno verde rappresenti un’opzione in più.

Ma il percorso che conduce alla sostenibilità non è cominciato per tutti. Anche se è difficile da comprendere in Occidente, nei paesi che associano gli aumentati consumi al benessere, la decarbonizzazione  può scontrarsi anche con resistenze di tipo culturale. Non è solo questione di ignoranza: a volte può essere un tema di rappresentanza, di status, particolarmente caro a élite ansiose di accedere al club della modernità. Per questo motivo, occorre rassicurare questi Stati che temono che la tutela del clima sia l’ennesimo paravento dietro cui nascondere politiche volte a mantenere le disuguaglianze.

Infine, una nota curiosa. Per quanto possa apparire strano, esiste anche qualcuno a cui il cambiamento climatico non dispiace. Sono gli abitanti della Groenlandia, cui lo scioglimento dei ghiacci artici e il riscaldamento delle acque consentono di avere mari più pescosi. Non solo: Mala Hoy Kuko, ministro dell’Ambiente, ha detto che “il potenziale dell’idroelettrico aumenterà ancora di più grazie al riscaldamento del clima”. Incoscienza? Meglio prenderlo come un tentativo un po’ goffo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Cinquantaseimila persone su un territorio da due milioni di chilometri quadrati, quello del paese nordico, non sono poi molte: la responsabilità di fermare il cambiamento climatico spetta a tutti.

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Da Londra ad Amsterdam, da Lagos al Mumbai, da Città del Messico a Venezia, alcune delle città più grandi e ricche di storia guardano con preoccupazione agli effetti della crisi climatica
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